Mi soffermo brevemente sulla figura dell’arte-terapeuta, colui che, come me, organizza e conduce laboratori artistici con gruppi o con singoli utenti all’interno di strutture protette, di centri diurni, di scuole, etc.
L’arte-terapeuta deve possedere abilità tecniche e conoscenze teoriche e, soprattutto, deve dimostrarsi persona dotata di qualità morali.
Perché il suo lavoro abbia rilevanza terapeutica, non basta che proponga del materiale di vario genere e lasci che l’utente sperimenti da solo, in balia di se stesso, senza prendersene cura durante ogni fase del processo creativo. Egli deve farlo sentire parte di un contesto accogliente e strutturato, proponendo degli esercizi pittorici che ritiene adeguati e che lo guidino attraverso esperienze significative con il colore e la forma.
Per poter lavorare sulla relazione con l’altro, l’arte-terapeuta deve prima di tutto essere capace di:
- lavorare su di sé, auto-conoscersi e trovare un proprio equilibrio
- entrare in empatia (superando simpatia-antipatia)
- accompagnare l’utente del laboratorio nel suo percorso di cambiamento
- comprendere e amare il prossimo
- confrontarsi e imparare dagli altri con umiltà
- affrontare una problematica e mettersi in discussione
- trasmettere con passione e in modo poetico, con immaginazione e fantasia, contenuti universali.
- collaborare con le altre figure professionali che operano in una struttura (medico, psicologo, animatore, …)
A tal proposito cito Maria Grazia Giaume (Il colore come terapia, 2005), che scrive:
Quando il paziente entra deve entrare non solo nella stanza, ma anche nella coscienza del terapeuta, che dovrà ascoltare con la coscienza e con l’anima. Il terapeuta dovrà come “tirarsi indietro”, creare in sé uno spazio in cui può aver luogo qualcosa di nuovo.
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