Dea madre

Dea madre

Di recente, al Castello Sforzesco di Milano, nella sala adiacente a quella dell’arte egizia, ho visitato la mostra Antenate di Venere.
Tra le splendide statuette femminili preistoriche ho ritrovato quella di Dolnì Vestonice (Moravia), che avevo già osservato e fotografato al Museo di Storia Naturale di Milano.

In questi ultimi anni sto approfondendo lo studio dell’arte preistorica, grazie anche al prezioso contributo di Marija Gimbutas (Il linguaggio della Dea oppure Le dee viventi edito dalla Medusa). Leggendo i suoi testi, ho scoperto che fin dal Paleolitico i popoli in Europa e in Asia Minore si rivolgevano alle forze e al ciclo della natura e adoravano molte dee – oppure una sola dea in molte forme – le cui raffigurazioni si caratterizzavano per un simbolismo estremamente complesso. Le forme del corpo esprimevano la potenza sacra, potevano essere stilizzate e incise di simboli o presentare mutazioni animali o enfatizzazioni, concentrandosi sugli organi sessuali, sui seni, sui fianchi, sulle natiche o su vulve prominenti.

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