La strega Achiqué

La Achiqué

Sei anni fa, tramite l’Associazione Don Bosco 3A, intrapresi un viaggio in Perù per tenere dei corsi di disegno e pittura ad un gruppo di ragazzi presso la scuola-taller di Tauca, un villaggio a Nord, sulla Cordigliera Nera.
Nei primi giorni, mentre attendevo di spostarmi da Lima per raggiungere le Ande, gironzolai per le vie della capitale e andai a finire in una libreria. Lì mi capitò tra le mani una splendida raccolta di racconti tradizionali, l’Antologia general del cuento infantil peruano. Pubblico la traduzione di una delle fiabe del libro che presentai e feci illustrare ai ragazzi del mio laboratorio di pittura: La Achiqué. Soprattutto la parte iniziale, ricorda un po’ la fiaba di Hansel e Gretel.

Venne un tempo di grande carestia e non c’era niente da mangiare. La valle si prosciugò e solo i gamberi luccicavano, saltellando sui ciottoli in fondo al fiume. Dei contadini trovarono un po’ di mais e decisero di tostarlo. Avevano due bambini piccoli ma poiché il mais era poco, speravano che questi si addormentassero, per poterlo mangiare da soli. A notte inoltrata la donna sussurrò: «Dov’è la padella per tostare il mais?» «Io so dov’è la padella». «E io so dov’è il mestolo per girare il granturco», dissero in coro i due bambini. I genitori erano sorpresi, ma, sfiniti dalla fame, misero i figli in una cesta di paglia e li portarono al fiume. Il fiume li condusse dolcemente e, quando furono in salvo, cominciarono a risalire la riva. Cammina, cammina, giunsero alla casa dell’Achiqué, vecchia strega della montagna, che li accolse con apparente ospitalità. Dopo aver dato loro da mangiare, decise di farli dormire separati, uno in una camera e l’altro accanto al camino. Al mattino la bambina sentì dei flebili lamenti e, pensando fosse suo fratello, chiese alla strega: «Nonnina, che cosa stai facendo a mio fratello?» «Gli sto togliendo i pidocchi». Poco dopo il bambino tornò a lamentarsi e la strega, per tranquillizzare la sorella, disse: «Appena gliene tolgo uno, si lamenta». La bambina, per niente tranquilla, si alzò senza fare rumore e, scesa in cucina, vide come la strega cercava di uccidere suo fratello con una lama tagliente. Legata e imbavagliata, a malapena si sentivano i lamenti della piccola vittima. Senza perdere tempo, la bambina raccolse un pugno di cenere e lo gettò negli occhi della strega. Mentre questa correva a lavarsi, liberò suo fratello e insieme fuggirono di corsa. Dietro di loro, la strega uscì ululando. Su per la collina, correvano i due bambini ansimando affannosamente. Poiché erano piccoli, le piante li nascondevano e la strega fissava invano gli occhi sul sentiero. A mezzogiorno incontrarono un condor che dormiva tra le rocce. «Papà Condor, nascondici sotto le tue ali, che la Achiqué ci sta raggiungendo». Il condor dispiegò le ali e i bambini scomparvero sotto di esse. Un istante dopo arrivò la strega zoppicando, guardò astutamente da tutte le parti e non vedendoli chiese al condor: «Signor Condor, ha visto passare di qui due bambini che mi sono scappati?» «Non ho visto nulla, Achiqué». «Allora lasciami vedere cosa nascondi sotto le ali». Il condor la lasciò avvicinare e quando fu abbastanza vicina diede un gran colpo d’ali alla strega e la fece rotolare fino in fondo al precipizio. I bambini ripresero ancora una volta la fuga. Al tramonto, stanchi dal tanto correre, arrivarono alla tana di una volpe. Sulla porta di casa la volpe stava aspettando il marito che doveva portare degli uccellini per i cuccioli. «Zia Volpe – disse la bambina – la Achiqué ci insegue, ti prego di ospitarci nella tua casa». La volpe guardò pietosa i bambini e li lasciò entrare. Al calar della notte arrivò la strega sbuffando. «Vecchia Volpe – disse – sono sicura che si sono nascosti qui i due bambini che mi sono scappati». «Qui ci sono solo i miei cuccioli», disse la volpe. «Allora lasciami entrare», rispose la strega. «Non posso, stanno dormendo e li sveglieresti». La strega la importunò tanto che la volpe la cacciò a morsi. La mattina seguente i bambini ringraziarono la volpe e ripresero la loro fuga. Ma la Achiqué li aspettava in cima alla collina; vedendoli, scese a grandi salti come una cavalletta. Fuggirono i bambini giù per la valle. Correvano come cerbiatti. Girando per un sentiero, scorsero una moffetta che stava scavando per terra. «Signora Moffetta, nascondici in fretta che sta arrivando la strega», implorarono i bambini. La moffetta li mise nel buco e li coprì con l’erba. «Moffetta puzzolente – disse al suo arrivo la strega – devono essere qui i ragazzini, cosa nascondi sotto quelle foglie?» «E’ la mia riserva di patate». «Se è come dici, lasciami guardare». La moffetta non rispose nulla. Agitò la sua folta coda e shh! emanò un odore penetrante che fece scappare lontano la strega. I bambini fuggivano, fuggivano. Dietro di loro li rincorreva la strega lanciando pietre. Così giunsero ad una pianura. La strega li stava già raggiungendo, quando, nel mezzo della campagna, videro un agnello che pascolava tranquillamente, con una corda al collo. «Agnello, agnellino – disse la bambina – la strega ci sta raggiungendo, non lasciare che ci prenda». L’agnello prese la corda che aveva attaccata al collo, la lanciò in aria e i bambini vi salirono. Le nubi accarezzavano loro le guance come piume di uccelli. La strega arrivò sul posto e nel veder la corda pendere dal cielo e i bambini in alto, cominciò a salire. Il vento le scompigliava le sottane scoprendo le sue gambe magre. Molto in alto, tra la strega e i bambini, apparve un ratto attaccato alla corda. «Cosa fai lì, topolino?» chiese la malvagia. «Sto mangiando un dolcetto che mi ha dato mia madre». In realtà il topo stava sgranocchiando lo spago. All’improvviso la corda si ruppe e la strega precipitò dall’alto. «Pampallampan, pampallampan!», gridava la strega mentre cadeva. E finì per sfracellarsi in mezzo alla piana. I bambini continuavano a salire nel paese delle nuvole. La corda cresceva nel cielo come un immenso gambo.

La Achiqué

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